L’esperienza di Danilo Failla sulla panchina del Borgo Ticino come rampa di lancio per ripercorrere la carriera da allenatore, tra una salvezza tutta da conquistare e i ricordi ancora vivi del recente passato
E’ un richiamo. Quelli a cui non sai e non puoi dire di no. Una chiamata che ti entra dentro. Una missione. Per
Danilo Failla il futsal non è solo indossare i panni dell’allenatore. E’ un pezzo profondo di vita che si attacca all’anima e non esce più. Per questo, il tecnico, sornione, sorride e ammette di avere i brividi solo sfogliando l’albo dei ricordi. Perché di immagini sbiadite – ma neanche troppo lontane – ce ne sono tante. Partono dal cuore, arrivano alla testa:
“Solo a parlare del mio vissuto mi emoziono”, racconta. E fa specie il contrasto con la disciplina che la divisa impone a un sottoufficiale dell’esercito nel corpo degli Alpini. Perché
Failla quando parla di calcio a 5 entra in trance e non si fa nemmeno problemi a dirlo.
L’ultimo posto in Serie C1 del suo
Borgo Ticino non spaventa: l’obiettivo, dichiarato candidamente, è la salvezza.
Failla non fa proclami ma non si fascia la testa. Sorride e scruta verso il futuro:
“Ma i conti piacciono di più a voi, io me la gioco partita dopo partita”.
Danilo, siete ultimi a meno due dalla Pro Vercelli. Domanda secca: vi salvate?
Che la stagione fosse difficile lo sapevamo. Però io credo che non arriveremo ultimi. Il gruppo è unito: qui gioca gente che è attaccata a questa maglia. Ci toglieremo le nostre soddisfazioni.
All’andata 0-8 col Dorina. Il 5-5 del ritorno è un gran passo in avanti o due punti buttati?
Noi abbiamo avuto molti problemi per assenze varie nel girone di andata. Però alla fine sono punti che pesano. Il pari è giusto, ma vincevamo 5-4 a un minuto e mezzo dalla fine. Purtroppo anche qui abbiamo regalato tanti gol per disattenzioni, soprattutto nel primo tempo.
Quella di Borgo Ticino è un’esperienza diversa da quelle passate. Quanto cambia proprio l’approccio?
Sì, sei in una realtà di mezzo tra Torino e la Lombardia, quindi non è semplice. Però, sono arrivati tre nuovi innesti dal calcio a 11 (i fratelli Galletti e Mastroianni, ndr), ma soprattutto ho un grande gruppo. Di persone che amano il calcio a 5. Che sudano e lottano. Come piace a me.
Quanto è difficile inserire ragazzi che arrivano da realtà differenti e soprattutto da uno sport diverso?
Al primo allenamento i ragazzi arrivano e mi dicono: “Qui è tutto differente”. Un ragazzo faceva l’ala, è venuto a dirmi: “Mi manca la profondità”. E’ normale, ci va tempo. Ma saranno innesti sicuramente utili.
Ti giochi tutto nelle prossime cinque gare: Bardonecchia e poi tra tre giornate la Pro Vercelli.
Ci giochiamo molto: ma io non mi tiro indietro. I miei ragazzi possono salvarsi.
Addirittura senza playout?
Adesso mi chiedi troppo (ride, ndr).
Il tuo progetto col Borgo Ticino è a lungo termine?
Almeno un biennio io voglio farlo. A prescindere da tutto. Io poi parlo sempre chiaro e non dipende solo da me, ma l’intenzione c’è sempre stata.
E tra dieci anni dove ti vedi?
Bella domanda, sicuramente non mi stacco dal futsal. Solo a parlarne mi emoziono.
Sei ripartito l’anno scorso, dopo il trasferimento a Domodossola. Prima da collaboratore e ora di nuovo in panchina. Ma chi te lo fa fare?
Dai, qui la risposta è semplice. La passione me lo fa fare.
C’è stato un momento in cui hai detto: “Ora smetto”?
Dopo l’anno di B a Rosta: ero stanco. Saturo e con poche motivazioni. Ma poi quando al Don Bosco Caselle, a casa mia, ho visto il pallone rotolare è riscattata la scintilla.
Qual è stata l’esperienza che ti porti più nel cuore?
Guarda, due anni diversi ma indimenticabili sono proprio la stagione della B a Rosta e quella a Caselle. Diversi, con esperienze più positive e altre meno. A Rosta fu un’annata vissuta con ragazzi magnifici. Poi, allenare a casa, a Caselle. Dove abitavo io quando ero a Torino: mi ha dato tantissimo. E non lo dico così per dire. Sono uno che dice sempre quello che pensa.
Questa tua onestà ti ha più dato o tolto?
Difficile dirlo. Ho anche perso qualcosa, ma lo rifarei. Lo insegno ai miei figli e ai miei ragazzi. Nei modi e nei toni giusti: ma le cose vanno sempre dette. Ti posso anche ammettere ciò che penso in maniera dura e poi offrirti da bere un’ora dopo. Se ti offendi, problemi tuoi. Anche ai giocatori lo ribadisco: non voglio robot, ma persone con cui dialogare.
Riannodiamo il filo. Scegli un’istantanea della tua carriera.
Il fischio finale dopo la partita col Tarantasca. Quella promozione in B col Rosta così sudata: a fine partita ero cotto, non avevo più energie né fisiche né mentali. E’ un traguardo che si realizza. Ora basta sennò tornano i brividi.
Come si può far crescere questo movimento?
Difficile dirlo, però io vedo che c’è gente che ci lavora. Che ama questa disciplina e ci mette tanta passione. Il tempo ci dirà se basterà o meno.
Tu la C1 l’hai già vinta. A chi tocca a quest’anno?
Sorpresa: per me il Sermig può giocarsela. Sono una squadra rodata e tignosa. Poi, logico che l’Orange parta avanti a tutti.
E Fucsia e Pasta?
Se la giocheranno loro quattro, ma le prime due per me hanno qualcosa in più. Poi, ovvio che uno come
Daniele Granata faccia sempre la differenza. Ma questo non lo dico io, bastano i numeri.
Quindi confermi: voi vi salvate, giusto?
Va bene l’ho detto: ma ora pensiamo alle prossime partite. Facciamo in modo di non essere smentiti.