Yari Campolongo in huddle insieme ai suoi ragazzi del Torino Futsal
Non ci sta. Da insegnante e da uomo di campo, coerente con se stesso e i suoi valori. Yari Campolongo questa volta si sente vittima di un’ingiustizia. Il suo è un urlo d’innocenza: una questione di principio. Ma andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Nel weekend appena trascorso, l’Under 15 del Futsal Torino è impegnata in una gara serratissima contro i pari età della L84, a Volpiano. Gli ospiti sono avanti 6-4 a otto minuti dalla fine, ma negli ultimi minuti arriva la remuntada: termina 6-6. «Mettiamo le cose in chiaro: è colpa nostra e non dell’arbitro se non abbiamo vinto, ma quanto successo dopo mi lascia senza parole», racconta senza giri di parole il giovane allenatore. La mazzata per il tecnico è arrivata alla lettura del comunicato del Giudice Sportivo. Squalifica di una giornata perché “al termine della gara prendeva a calci un contenitore dei rifiuti situato presso la panchina della propria squadra, distruggendolo”, recita testuale la nota. Una doccia fredda per Campolongo: «Non mi interessa di non poter stare in panchina contro il Top Five, quello è il meno. Il problema è che quanto scritto è assolutamente inventato. Il cestino è stato distrutto da un mio giocatore, immediatamente punito per questo gesto da me e dalla società. Io devo raccontare le cose come sono andate per davvero, ne va della mia immagine. Se fossi un genitore e leggessi una roba del genere non manderei mai mio figlio ad allenarsi da qualcuno che ha atteggiamenti violenti. La mia educazione e i miei valori sono tutt’altri. Non posso assolutamente passare sopra questo».
Ecco, il punto. Il focus non è né la squalifica né il risultato finale della partita contro la L84, ma la veridicità dei fatti. «Potete chiedere a chiunque: io non ho rotto nulla. E non posso accettare di leggere calunnie su di me. Come potrei essere un buon educatore se facessi una cosa del genere davanti a degli adolescenti? Tutti sbagliamo: io, i giocatori, l’arbitro. Ma non si può travisare la realtà». Non è la prima volta che si verificano situazioni del genere, come sottolinea lo stesso Campolongo: «Voglio che sia chiaro. Gli arbitri devono essere tutelati. Il loro è un ruolo molto complicato. Però ci dev’essere onestà. Potevano punirmi come responsabile del mio gruppo. Ma non per aver commesso un qualcosa che non ho fatto. Inoltre, voglio ribadire una cosa – aggiunge l’allenatore -. L’errore è umano. E’ stato dato a loro un rigore che per me non c’era, ma questo non ha alcuna importanza. Il problema è non conoscere nemmeno il regolamento. Il non sapere che il pallone al calcio d’inizio vada battuto in avanti. O non saper applicare i falli cumulativi con la norma del vantaggio. Sono tante piccole cose, con cui però conviviamo abitualmente». Il problema diventa dunque il solito. Una tutela degli arbitri che spesso manca dal principio. Perché vengono mandati ad arbitrare – già di per sé fonte di stress, adrenalina, tensione – senza conoscere il futsal, che è tanto diverso dal calcio a 11 sia per svolgimento che per regole. Arbitrare è già un compito talvolta ingrato: ma se messo in mano a chi deve ancora terminare la propria formazione – non diciamo sia questo il caso, ma sicuramente succede di frequente nelle realtà regionali -, rischia di diventare una bomba pronta a deflagrare. Dove alla fine non viene tutelato nessuno. Né il futsal e il suo spettacolo, né i giocatori e gli allenatori, né tantomeno l’arbitro stesso, capro espiatorio di problemi molte volte ben più grandi di lui. Che sia da monito: rimediare si può sempre. Com’è che si dice? Sbagliare è umano, ma perseverare proprio no.
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