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Città di Asti: tutti (o quasi) i motivi del fallimento
A distanza di pochi giorni dall’annuncio ufficiale della cessata attività del Città di Asti, andiamo ad analizzare i motivi della decisione
E’ passato qualche giorno dall’ufficialità. Il Città di Asti ha abbandonato, per il momento, il calcio a cinque. Per il momento, perché la storia insegna che ci si può rialzare dopo ogni caduta, ma se non si cambia l’ordine degli addendi il risultato finale non muta. Antignano, Astense e Città di Asti. Tre società che troviamo nel cimitero del calcio a cinque piemontese con diversi epitaffi e con il medesimo epilogo. Così come l’ossatura societaria. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum affermava Seneca e mai affermazione è così tanto attuale. Il patron Formiglio meno di un mese fa dichiarava apertamente i nuovi progetti (compresa la serie A) soffiando lontano le nuvole minacciose di un possibile fallimento. Alla fine però il tutto si è materializzato perché questo è l’epilogo naturale di fatti oggettivi e non soggettivi. Gianfranco Lotta è stato il denominatore comune tra Antignano, Astense e Città di Asti. Mai una parola fuori posto, ma nello sport contano più i risultati e i traguardi raggiunti che lo stile. Impeccabili come tutti i progetti e gli annunci che però sono rimasti troppo spesso sulla carta. Le stagioni passavano così come gli investimenti da urlo (vedi in primis l’ingaggio di Fortino) ma anche gli errori di gestione, in quanto l’autocritica non è una dote di serie ma troppo spesso un optional. Bastava guardare a qualche centimetro di distanza per capire che cosa mancasse. L’Orange Futsal ha un progetto tecnico ben preciso e un bacino di ragazzi in grado sostenere e supportare il tutto. C’era stato un tentativo di approccio la passata stagione. Fumata grigia l’esito della chiacchierata con la promessa di riprovarci. Detto fatto, ma questa volta la fumata è stata nera. In tutti i sensi.