Amatoriale
Mosquito for CRESM: per tirare un calcio alla sclerosi multipla
La storia delle Mosquito Futsal Team, squadra il cui scopo primario è sensibilizzare attraverso il calcio sulla lotta alla sclerosi multipla
Gemma, classe 1987, è una ragazza come me che scrivo, ha subito un infortunio al crociato, operato solo dopo molti mesi, e ora è tornata a giocare a calcio a 5 in una squadra cui tiene molto. Abbiamo molte cose in comune. Lei però è fondatrice, giocatrice di punta e presidente delle Mosquito Futsal Team. La sua soddisfazione più grande, però, non sono certo i successi agonistici del suo team che milita nei campionati organizzati dal CUS Torino da ormai 4 anni, no. L’entusiasmo per quello che fa arriva da più lontano, da una diagnosi e poi da una battaglia che a combatterla come fa lei, cioè con una buona dose di sarcasmo unito a una punta di cinismo, hai già un po’ vinto.
«Cinque anni ero ferma per l’infortunio al crociato, un giorno ho riscontrato un calo della vista repentino da un occhio, poteva essere qualsiasi cosa… Sono andata in pronto soccorso all’oftalmico e mi hanno detto che l’occhio era strutturalmente a posto: era il nervo ottico, che cincischiava e non “trasmetteva”. Poi con il cortisone tutto è tornato alla normalità. Da lì, sono andata al San Luigi per un parere neurologico e mi hanno ricoverato per fare esami diagnostici. Poi è arrivata la diagnosi: sclerosi multipla. Quando mi sono rimessa dall’infortunio, quindi, ho pensato che oltre a riprendere a giocare potevo fare qualcosa di più, non solo per la mia personale battaglia, ma per quella di tutti quelli che hanno la mia stessa malattia. Creare una squadra da zero, però, non è affare facile. Ho iniziato chiamando alcune amiche, il mister, Daniel Bertocchi, è arrivato volontariamente, grazie ad un annuncio appeso sulla bacheca del reparto dove sono in cura al San Luigi. Il nome è venuto da sé: Mosquito Futsal Team».
Perché?
«Il nome Mosquito deriva dal fatto che i pazienti con Sclerosi Multipla, spesso e volentieri, assumono le loro terapie tramite “punturine” (non tutti, la varietà di farmaci, infatti, è notevole!), certe terapie fanno venire un po’ di febbre notturna e a volte queste punture diventano una rottura di scatole. Allora mi è sembrato un modo simpatico per “esorcizzare” quel momento e trasformarlo in qualcosa di positivo: “punzecchiare” le nostre avversarie e tutti quelli con cui entriamo in contatto per sensibilizzare riguardo ad una patologia potenzialmente invalidante e che colpisce soprattutto le donne giovani. Ma soprattutto la cosa che più mi premeva era trovare un modo per legare lo sport e il calcio ad un’iniziativa positiva: informare e raccogliere fondi. Quindi è nato il Terzo Tempo che noi promuoviamo con l’hashtag #NONSCLERIAMO, che è di nuovo e lì un giochino di parole per dire “Ok, in campo scanniamoci, ma fuori dal campo ripigliamoci, e beviamoci una birra insieme che fa pure bene alla ricerca.”».
Cosa fate nel concreto?
«Organizziamo il terzo tempo dopo ogni partita e invitiamo le avversarie a mangiare qualcosa con noi a “El pollo loco”. una percentuale del ricavato, il 20%, viene versato direttamente al C.Re.S.M., il Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale San Luigi di Orbassano. Di solito le ragazze accolgono sempre di buon grado l’iniziativa, è capitato che quando non potevano venire facessero direttamente una donazione. Sicuramente però c’è molto lavoro da fare, banalmente partendo da whatsapp, bisogna entrare in contatto con le persone, comunicare per sensibilizzare. A volte quello che facciamo non è chiaro! Da quest’anno infatti ci chiameremo Mosquito for Cresm, così che sia immediato capire l’associazione tra noi e la ricerca».
La malattia non ti preclude di praticare sport?
«No, anzi, ormai vado ai controlli di routine e rispetto alle prime volte in cui verificano udito, vista e tutti i parametri del caso, ora mi chiedono “giochi a calcio no? E allora stai bene” ed effettivamente è così, non riscontro gravi sintomi nel quotidiano (dice toccando ferro qua e là e noi insieme a lei). Quest’anno la squadra è quasi del tutto rinnovata, per cui per me una nuova sfida, dobbiamo prima creare il gruppo e renderlo anche consapevole di quella che è la finalità del nostro team e poi lavorare per punzecchiare gli altri, sì quest’anno ho ritrovato un po’ di carica. Una volta vivevo peggio questa cosa della squadra, mi sentivo responsabile di tutto. Inizialmente abbiamo fondato un’associazione sportiva. Abbiamo fatto il passo più lungo della gamba perché è una cosa molto complicata. Oggi va tutto molto meglio, lascio che le cose vadano e gli aiuti man mano arrivano, qualcuno ci dona un buono di iscrizione, qualche sponsor ci fa una piccola donazione…e così il progetto prosegue. Sarà anche che ho superato la travagliata fase dell’accettazione. Oggi sono serena e ne risente in positivo tutto il clima in squadra. Questa non è la mia personale battaglia o almeno, non più. Quella la porto avanti ogni giorno nel mio privato, insieme alle Mosquito combattiamo la battaglia per la sensibilizzazione e per portare avanti non lo sport fine a se stesso, ma quello che unisce anche fuori dal campo e che regala qualcosa in più a chi riesce a coglierle. Le mie compagne sono l’esempio lampante che quello che facciamo funziona. Tante persone sono passate di qui. Alcune sono con me dall’inizio, come il capitano, Roberta Grasso e il vice Ilaria Sandrone, giovane, ma zanzarina veterana».
L’intervista è la forma giornalistica più bella e vera. Per funzionare ci vogliono però due ingredienti: una persona che sa ascoltare e una o più persone che sappiano raccontarsi. Incontrare Gemma e tutte le Mosquito ha reso il nostro compito non solo facile, ma estremamente piacevole. Noi di TiroLibero abbiamo partecipato al Terzo Tempo e ci abbiamo visto una cosa bella: una tavolata lunga, formata da gruppi di persone che magari non si sono mai viste prima, ma che a fine serata condividono una grappa e un briciolo di consapevolezza in più su una realtà che coinvolge direttamente 118.000 persone malate di Sclerosi Multipla, solo in Italia. E non pensate a una lezione di medicina o senso civico. A “El pollo loco” va in scena un post partita come un altro, chi ordina una birra, chi “io non prendo niente” e poi ti ruba tutte le patatine dal piatto, il mister ricorda al portiere le papere della partita (quale portiere non ne fa?), e tutti hanno voglia di dire almeno una parola. A qualcuno viene più facile per carattere, qualcuno aspetta che la sala si svuoti e si respiri più intimità, a qualcuno invece il coraggio non manca mai. Le Mosquito sono belle così: tutte diverse, ambasciatrici della stessa battaglia.